Gli scritti di Eugenio corti – Zoilo Zorzi
Allorché gli uomini furono adunati, il colonnello Mariotti li fece dividere in due ordini: gli armati e i disarmati. Erano pressapoco di numero uguale.
Gli armati vennero suddivisi in quattro o cinque plotoni, di una ventina di soldati ciascuno. Dopo di che, il colonnello scelse, fra noi ufficiali, quelli in condizioni migliori, e li mise a capo dei singoli plotoni. Noi pattuglieri superstiti: Zoilo Zorzi, Mario Bellini e io, fummo lasciati in pace.
I plotoni si prepararono ad andare in linea. Già la mia parte bestiale – che in quel momento aveva il sopravvento – gioiva per essermi visto risparmiare insieme con i miei amici, quando Zorzi fece inaspettatamente un passo avanti, e chiese con voce dimessa al colonnello di essere aggiunto a un plotone.
Aveva nel rustico viso veneto lo sguardo franco, come sempre, e modesto, come sempre. Come quando, ricordavo, in Italia sopportava i colleghi che gli lanciavano qualche frizzo perché egli, dell’Azione Cattolica, non era corrivo a certi discorsi.
Il colonnello accolse la sua richiesta. I plotoni partirono subito per Arbusov.
Bellini ed io guardammo in silenzio Zorzi che si allontanava; non l’avremmo rivisto più.
Vorrei che queste mie poche, inadeguate parole, siano un canto in ricordo di lui, il migliore fra quanti uomini ho incontrato nei duri anni della guerra.
Lui ch’era d’animo semplice, e profondo nei pensieri, e amatissimo dai suoi soldati. E inoltre molto coraggioso, come si conviene a un uomo vero.
A lungo ho seguitato a pensare che tu fossi vivo, e ancora la tua voce risuonasse in qualche minima parte di quelle terre sconfinate; e silenziosamente t’aspettavo.
Intanto la neve si sarà sciolta, i tuoi panni avranno persa la rigidità del ghiaccio, e sarai rimasto disteso nel fango nelle dolci giornate della primavera. E immersi nel fango e nella putredine la tua fronte e i tuoi occhi, ch’erano sempre rivolti in alto.
Avevo fatto un voto perché tu tornassi. L’avremmo sciolto insieme.
Ma tu non sei tornato!
Mi ritroverò ugualmente, io credo, a parlare con te in molti momenti di questa povera vita. E’ così sottile il velo che separa questa vita dalla tua! Cammineremo ancora insieme, come camminavamo insieme fianco a fianco sui sentieri della steppa nei giorni d’estate.
Pendeva nel sole, ricordi? interminabilmente il canto sempre uguale delle quaglie, voce di quel sapore d’ignoto che avevamo intorno.
Forse le tue ossa bianche mescolate alla terra e all’erba, ancora oggi sentono quel rustico canto, allora così suggestivo, e oggi sembrerà un pianto.
(tratto da I più non ritornano)