Quel piccolo mondo antico del cavallo rosso
Chissà perché, si sospetta sempre dei romanzi troppo lunghi, delle saghe famigliari, delle epopee. Come se non lo fossero anche l’Odissea, la Divina Commedia, i Promessi Sposi. Non di quelli extra moenia, però. Devastante provincialismo.
L’oblio ha sommerso l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, tutta l’opera di Morselli, di Moravia si sta perdendo la memoria, nessuno lo ristampa.
Stessa sorte tocca, in patria, a “Il cavallo rosso”, di Eugenio Corti, Edizioni Ares, Milano 2015, pp. 1080, euro 24. Giunto intanto alla 32ma edizione. E però sdoganato dalla critica straniera: per Sébastien Lapaque (Le Figaro), Corti è “uno degli immensi scrittori del nostro tempo, uno dei più grandi…”.
E’ un “caso” letterario da mezzo milione di copie (tradotto anche negli USA), ma nessuno se n’è accorto: il pregiudizio e la nuova semantica dell’editoria al tempo di Amazon trattengono per le briglie il cavallo di Corti (Besana Brianza, 1921-2014, oggi il nome di una Fondazione).
Il romanzo è una saga famigliare dentro al cuore cupo e barocco del Novecento: le sue utopie e illusioni, la deriva, le tragedie che lo hanno insudiciato e umiliato e offeso l’uomo. Una famiglia contadina lombarda per caso, in cui si legge in trasparenza un’Italia ingenua e forte, che ha dei valori forse non soggetti a relativismo, in cerca di una sua identità, un posto nella Storia, quando la rivoluzione industriale sta per abbattersi sul Paese, con le sue infinite contraddizioni: una metamorfosi che include la sua anima antica e profonda, che comunica una grande spiritualità quale barriera al relativismo, la secolarizzazione, la barbarie.
Un classico accostato a “Guerra e pace” e al Solgenitzin migliore, a Stendhal, ma anche all’incanto bucolico e minimalista di Olmi (“L’albero degli zoccoli”), che “non contiene una parola di retorica, né compiacimenti morbosi” (Orsola Nemi), mette a nudo le nostre radici euro-mediterranee, cristiane e laiche, religiose ma anche illuministiche, che però resta ai margini delle patrie lettere, forse impaludate nell’effimero da comparsata tv e da libri costruiti da astuti agenti letterari.
Il cavallo rosso – figura presa dall’Apocalisse (Rivelazione) – non mitizza alcuna arcadia retorica, non trasfigura un Eden perduto, però sfiora il mistero della vita e del suo senso più segreto e ci dice quale era l’architettura del mondo di ieri, i sentimenti dell’animo umano, le relazioni fra uomini smarriti e sgomenti dinanzi all’incedere violento della Storia e alle sue laceranti aberrazioni: nazismo, comunismo, fascismo, e dai “due flagelli dell’Odio e della Morte” (Jacques Robichez).
E’ qui, o anche qui, la sua destrutturante forza escatologica che raggruma un’epoca di cui ci restano macerie e consegna “Il cavallo rosso” alla posterità. Che certamente saprà leggerlo meglio di noi.
(Francesco Greco, 04/09/18, Il Giornale di Puglia)