La lettera aperta di Jean-Marc Berthoud a Eugenio Corti
L’edizione francese del romanzo Il cavallo rosso, di Eugenio Corti, sta riscuotendo un grosso successo di pubblico. Lo scrittore Jean-Marc Berthoud, di Losanna, personalità di spicco della cultura calvinista francofona, direttore della rivista Résister et Construire (May-août 1998, n. 41/42, Losanna), ha indirizzato a Corti una Lettera aperta che non mancherà di suscitare interesse nel pubblico italiano che ben conosce il romanzo di Eugenio Corti, del quale le Edizioni Ares stanno per pubblicare la dodicesima edizione. Fra le opere di Jean-Marc Berthoud ricordiamo: Une religion sans Dieu, les droits de l’homme contre l’Évangile; Apologie pour la Loi de Dieu; Des Acts de l’Église: le Christianisme en Suisse romande; L’école et la famille contre l’utopie; Calvin et sa vision missionaire.
Caro Dottor Corti,
come potrei esprimerle la mia riconoscenza e quella di tutti coloro ai quali ho suggerito il suo capolavoro Il cavallo rosso, dal tocco così pienamente cristiano? L’ho terminato l’estate scorsa in Toscana, dove mia moglie e io abbiamo trascorso piacevoli vacanze. Mi ha tenuto compagnia come l’appassionante studio di Augusto del Noce sul problema dell’ateismo, del quale il suo romanzo è, in un certo senso, il complemento, il concretamento nella vita vissuta.
Non conosco un altro romanzo paragonabile al suo, sia per il ristabilimento che lei vi opera della normalità della visione cristiana in tutti gli aspetti della realtà (laddove la secolarizzazione atea appare, per contrasto, anormale, fuori dalla realtà, vuota), sia per lo sguardo incomparabile che lei rivolge alla realtà del male di cui il nostro secolo di ferro e di sangue ci fornisce (e non è ancor finita!) una testimonianza ineguagliabile.
Come ringraziarla a sufficienza per tutto il bene che lei ha procurato, a me e ai miei figli, attraverso il suo libro, in pari tempo così bello e così vero? Il suo romanzo ha confermato in modo brillante quello che mia moglie e io abbiamo sempre cercato di dimostrare ai nostri figli mediante la nostra fede, mediante un pensiero che volevamo conforme agli insegnamenti della Sacra Scrittura e mediante una vita di famiglia e un combattimento nella vita pubblica che cercava, nella lotta quotidiana contro il male in noi e intorno a noi, di manifestare la realtà presente del regno di Gesù Cristo. Questo regno, che costituisce quasi la trama del suo libro, si dispiega attraverso la bontà della creazione e si mostra a noi nelle infinite cure che la divina Provvidenza prodiga a coloro che vogliono affidarsi a Lei che veglia (come il suo romanzo dimostra in modo ammirevole) su ciascuno dei nostri istanti. È l’opera del Pantocrator, di Gesù Cristo, Creatore, Provvidenza e Redentore.
Poiché devo dire che il suo libro ha come personaggio principale il Dio del Cristianesimo. Ed è in questo che esso possiede una originalità che non ci consente di paragonarlo a nessun altro. In Tolstoj, per esempio (è stato, nel leggere, il mio primo paragone) vediamo l’evocazione delle realtà cristiane come normali, in una società anormale, corrotta dal peccato. Questo lo ritroviamo, in modo a volte indiretto, a volte esplicito, mai però non immaginato come concreto, nel libro che lei ha scritto. Ma in Tolstoj, credente più per nostalgia e per eredità che per un’attiva fede personale, non troviamo quella pace rassicurante che si scopre in ogni pagina de Il cavallo rosso. Leggendolo si nota bene che questa maniera cristiana di guardare la realtà è la sola veritiera; tutto il resto non è che illusione e nebbia di menzogna. Nel libro del profeta Isaia, il veggente ispirato ci rivela la gloria di Dio che riempie tutta la terra. Lei ci mostra nel suo libro, anche nei momenti più neri, più dolorosi e terribili che il nostro mondo, pur con i suoi pervertimenti più orrendi, non potrà mai sfuggire interamente alla luce e alla gloria della sapienza e della bontà divine. Mi stupisce il fatto che mai troviamo nella sua penna il minimo compiacimento né verso il bene né per il male. Bisogna dirlo: il suo sguardo è più impietoso di quello di chiunque altro. Non cede davanti a nulla. Rivela delle profondità di male che lo stesso Solzenicyn non ha osato guardare in faccia. Ma lei non vi si attarda, né per sentimentalismo né per orrore. Lei non fa che guardare con attenzione, discernimento e bontà, la vita degli uomini e del creato alla luce di Dio, e dice le cose in modo così giusto da farle diventare evidenti per il suo lettore. Esse appaiono così al lettore di buona volontà come naturalmente vere. Esse diventano per lui semplicemente incontestabili.
Per me non c’è dubbio. Sul piano della creazione artistica questo secolo sarà contrassegnato da Il Cavallo Rosso come da un segno soprannaturale proveniente da Dio. Questo segno ci indica che, attraverso dei giudizi terribili che il supremo Signore di tutte le cose realizza giustamente su un mondo che, rifiutandolo, si perde in un inferno già tangibile qui in terra, Egli non ci ha dimenticati e continua la sua opera di ricostruzione, di vita e di gioia celestiale. È stupefacente vedere a qual punto il suo libro ci apre delle visuali pienamente terrestri sia sul cielo che sull’inferno.
La sua opera è stata lodata da certi suoi lettori francesi (anch’essi cattolici romani) come un magnifico romanzo cattolico. Anch’io mi associo, se si attribuisce alla parola cattolico il suo significato primario: quello di totale, integrale, che nulla scarta e nulla aggiunge alla verità cristiana rivelata. Ma, in un altro senso, il suo libro è certamente più di un libro cattolico romano, espressione che non rappresenterebbe che un aspetto, un frammento della verità cristiana completa, essa sola veramente cattolica. La sua volontà di giungere a una verità intera, nell’immaginazione più concreta dei personaggi e degli avvenimenti apocalittici dei quali lei ci rivela l’esistenza davanti ai nostri occhi spaventati, commossi e abbagliati, conduce a un grado di universalità concreta (non è forse questo un modo indiretto di evocare il riflesso che la Santissima Trinità getta sulle sue creature?) che sconvolge tutte le barriere confessionali. Poiché la visione della realtà che traspare dalla lettura del suo libro arriva a toccare ogni vero cristiano nel fondo più intimo della propria vita con Dio in questo mondo. È per questo che il suo libro, che nulla rinnega della specificità della fede romana da lei professata, ha suscitato una tale eco presso i lettori di altre confessioni cristiane. E non dei minori.
Non posso fare a meno di citare la reazione di amici protestanti praticanti ai quali ho fatto leggere il suo romanzo. Si tratta di una categoria di persone che sembra sconosciuta a Michele Tintori, protagonista del suo romanzo, nel suo sforzo così costantemente teso a comprendere da dove possa provenire il male di cui soffriamo. Un Pierre Courthial, decano dei calvinisti francesi e, probabilmente, il miglior teologo cristiano dei nostri giorni, – senza dubbio parecchio più anziano di lei – e sua moglie hanno ricevuto il suo lavoro come un immenso beneficio di Dio.
Il pastore Huib Klink, padre di una numerosa famiglia e uno dei luminari del calvinismo olandese, ha un solo desiderio: che il suo libro compaia in edizione olandese. Il professor Douglas Kelly, una delle grandi colonne del calvinismo americano, che ha appena pubblicato una apologia biblica, filosofica e scientifica della dottrina della creazione contro tutti i sofismi filosofici e scientifici alla moda, ha letto il suo libro con una condivisione di fede e di entusiasmo che non gli ho visto per altre letture. Stando alle ultime notizie, egli si propone di farne un’importante recensione in inglese.
Ma potrà giudicare lei stesso il bene che fa il suo lavoro leggendone la recensione che ce ne ha appena fatta un’amica protestante francese, Laurence Benoit, arrivata alla fede dai lidi di un laicismo incallito. Come potrà vedere, si tratta di una penna brillante e di una critica letteraria di prim’ordine, anche se di professione è semplicemente una madre di famiglia. Da parte mia, è per riconoscenza a Dio – per quello che a lei ha consentito di fare per la Sua gloria e per il bene dei suoi lettori – che le ho chiesto questo articolo che apparirà, a Dio piacendo, sul prossimo numero della rivista Résister et Construire da me diretta. Dio le renda il centuplo qui in terra per il bene che lei fa ai Suoi figli, dispersi e malmenati da ogni parte da coloro che pretendono di dirigere la Sua Chiesa, e nell’aldilà le accordi libero accesso alla Sua presenza gloriosa.
Con la mia riconoscenza e i miei saluti più cordiali e fraterni.
Jean-Marc Berthoud
Lausanne, 9.4.1998