Andrea Sciffo ricorda Eugenio Corti
La notizia della morte di Eugenio Corti mi è arrivata di notte e per mezzo di un sms inviato da un amico: la prima cosa che ho provato è stata una calma serenità. Il messaggio sembrava contenere il dono di un annuncio, mentre confermava i legami dell’amicizia e non turbava la quiete silenziosa in cui io, la mia famiglia, la città, tutti, eravamo immersi in quel momento. Forse perché ero stato preparato da un avviso che un altro amico (ecco ancora questa dolce parola!) mi aveva dato in giornata; forse perché sono da tanto tempo gettato in qualcosa di molto più grande di me, che mi sovrasta e mi custodisce, e che potrei chiamare con il nome di «vita» oppure di «fede».
Sta di fatto che vivo il passaggio di Eugenio Corti da questo all’altro mondo come un ennesimo atto di generosità di quell’uomo, che fu testimone di guerra e grande scrittore: è come se, ancora una volta, lui abbia avuto il coraggio di mettersi alla testa di noi, del gruppo dei suoi tantissimi amici, e abbia fatto per primo il grande passo. Che Eugenio Corti adesso sia al cospetto di Dio, di Gesù Cristo e di tutti i santi, è un mistero la cui certezza non mettiamo neanche in dubbio: quante volte lo abbiamo sentito parlare di «Domineiddio» con la fede di chi era (ed è) destinato a incontrarlo.
Anche quando raccontava gli orrori dei combattimenti, l’imbestiamento degli uomini nelle ideologie, Coti è sempre stato il cantore del Regno, di un regno che non è di questo mondo ma che si fa trovare come un anticipo già qui, nelle gioie che si provano pellegrinando sulla Terra. Per questo, in moltissimi abbiamo amato la compagnia di Eugenio e lo abbiamo frequentato quanto più possibile, sino a ieri: perché ogni volta si tornava dalla sua casa di Besana arricchiti dal dono che lui faceva. Forza e misericordia.
Centinaia di giovani hanno condiviso il mistero semplice di incontrare Eugenio Corti, uomo di parola vissuto in un secolo di parole. Io stesso ho avuto l’onore di accompagnarne moltissimi, di studenti di liceo al Don Gnocchi, e di salire alla villa “dello scrittore” a intervistarlo e a scoprire che l’umanità non muore neanche le guerre mondiali, e a incrociare gli sguardi, e ricevere occhi più limpidi di prima.
Adesso l’opera che Corti ha intrapreso prende un’altra forma, imprevedibile. C’è un corpo di scritti, di libri, di lettere ma anche di colloqui, che stanno dando frutti nascosti e tutto avrà un suo esito fecondo, non solo nel campo della “cultura”. Dopo così tanti anni, ora posso conservare nel cuore tutte le conversazioni e ricordare i volti e giorni, mentre la gratitudine mi invade e mi fa dire: grazie, Signore, di avermi/averci donato questa amicizia tra noi.
Che tende per sua natura a espandersi; dove, si vedrà. Intanto, nel segreto continuo a sentire la voce di Eugenio, il suo accento: rivedo lo sguardo azzurro, quello di un novantatreenne che, sino alla fine, è stato più giovane dei giovani con cui discorreva e ai quali ha indicato la strada.
Andrea Sciffo
Monza, 5 febbraio 2014, ore una di notte.
(Andrea Sciffo, 05/02/14, Il Covile)