“Mi è sembrato che la tua bellezza fosse lo specchio di quella dell’anima”
Il 4 febbraio di cinque anni fa ci lascia uno dei grandi narratori italiani, Eugenio Corti, secondo alcuni, con Il cavallo rosso, l’autore del romanzo epico più importante del secondo Novecento. “Un romanzo che ha il respiro di Guerra e Pace, l’inoppugnabilità del miglior Solgenitsin, la tenerezza ctonia del cinematografico L’albero degli zoccoli”, scrisse Cesare Cavalleri, che per le sue Edizioni Ares, con gesto ragionevolmente audace, decise di pubblicare quel romanzo immane, di quasi 1500 pagine. Era il 1983.
Alle spalle di quel romanzo, lavorato con centellinata disciplina lungo l’arco di una vita, tra gioie e rinunce, con impeto tolstojano, c’è una donna, Vanda, amata da Eugenio e sposata nel 1951 ad Assisi, sotto la benedizione di don Carlo Gnocchi. “Abbiamo avuto una vita intensa. Eugenio era complicato, ma era di una generosità unica. Era un uomo curioso, di tutto, e tutto entrava nella sua scrittura. Mi ha fatto vedere la profondità delle cose”, mi ha detto la moglie di Corti, nel corso di una conversazione, accaduta un paio di anni fa.
Il cavallo rosso è anche l’epopea di un amore assoluto, consapevoli che la scrittura è gloria, ma è anche maledizione. A cinque anni dalla morte di Corti, ho avuto il dono straordinario, da parte di Vanda, attraverso l’amico Alessandro Rivali, di una lettera inedita del marito. Risale al 1947, è un passo del lento corteggiamento di Corti per conquistare la donna della vita. I commenti in corsivo sono di Vanda.
Capitava spesso, specialmente in giornate d’esami per tutte le facoltà, di incontrare studenti mai visti prima e che difficilmente si sarebbero incontrati ancora. Un giovane mi venne incontro mentre ero in attesa di sostenere un esame. Fu allegro, ironico, divertente, parlò molto. Mi attese e ci avviammo insieme all’uscita. Non fu un incontro come tanti altri perché dopo qualche giorno mi giunse questa lettera.
Besana, sera del 15 Luglio 1947
Può essere che tu abbia piacere che io ti scriva, e ti dica il perché della mia insistenza, della mia telefonata, della mia inutile visita. Sono venuto a cercarti in Quadronno, te lo avranno detto, c’era anche tua sorella, e quanto io ho raccontato loro di prestiti di libri e simili, tu lo sai bene, è una qualsiasi fandonia.
Io volevo semplicemente vederti.
Quanto le mie sorelle m’hanno detto, m’ha fatto conoscere abbastanza di te; non ignoro che sei stata e, con tutta probabilità, sei ancora oggi fidanzata.
Io volevo vederti e stringere amicizia con te.
Penso che tu, che se non m’inganno devi possedere una femminilità profonda, devi aver provato, più d’una volta, il desiderio di accostarti alla virilità. Ciò è giusto ed è anche un grande dono e una benedizione del Signore. Lo stesso è, ed è stato, per me: io sento la necessità di un po’ di femminilità che mi accompagni. Nella mia solitudine, quando ho visto te, mi è sembrato che la tua bellezza esteriore non fosse, come molte, soltanto esteriore, ma fosse lo specchio di quella dell’anima.
Per questo ho desiderato conoscerti e divenirti amico.
Tu hai accennato a una tua grande sofferenza. Io quella sofferenza l’avevo letta nei tuoi occhi fermi e sinceri: questo è stato uno dei più forti motivi che mi ha spinto a te.
Anch’io ho molto sofferto. Quello che io sono tu lo potrai leggere in un libro che ho pubblicato in questi giorni e che si trova in ogni libreria: “I più non ritornano”. Te lo donerei io, se potessi rivederti.
Sono altro ancora, di miseria e anche di male, purtroppo, che in quel libro non c’è perché è venuto dopo.
Io (spero che non ci sia superbia in questo mio dire) ho molto donato e molto mi par di donare. È bello sopra ogni cosa, ma non si può continuare a donare senza ricevere. E, senza un po’ di femminilità che mi accompagni, sento di intristire.
Mi auguro di tutto cuore di poterti rivedere perché molto male mi verrebbe dal non poterti più incontrare.
Bene, ho detto quanto intendevo dirti.
Ti saluto e ti chiedo scusa per la noia che ti ho data.
Eugenio Corti
La lettera mi giunse quando stavo partendo per raggiungere i miei familiari in Umbria. Avevo pensieri tristissimi. Non risposi. Lo rividi in ottobre. Eugenio era venuto a cercarmi in università: «ti ho portato il mio libro – disse – lo leggerai?». Da quel giorno finimmo con l’incontrarci quasi regolarmente. (Vanda Corti)
(Davide Brullo, 04/02/19, Pangea)
Ho sempre adorato Eugenio Corti. Mi ha formato quando avevo 25-30 anni (ora ne ho 60 e sto attraversando davvero un periodo difficile della mia vita). Vorrei ringraziare la Signora vanda di avere osato mettere in comune con noi questa lettera meravigliosa. Si tratta di una testimonianza incredibile di bellezza, di verità di fede reale e viva. Grazie!!!!
Grazie anche del coraggio di “aver messo in piazza” una cosa cosi’ profondamente intima e solo vostra, di Eugenio e sua. . E’ una cosa bellissima, commovente nel suo straordinario umanesimo cristiano .
Grazie vanda per la sua libertà.
Daniele Malaspina
ancora grazie