Viaggio nel dolore e nell’espiazione

Eugenio CortiIo credo che un giorno la storia darà ragione a Eugenio Corti e le pagine del suoi libri aumenteranno sempre più il piccolo gregge che lotta quotidianamente per eliminare tutto il fumo che è entrato non solo nel tempio di Dio ma anche tra gli uomini. Appena terminata la lettura del pregevolissimo lavoro di Paola Scaglione I giorni di uno scrittore (Incontro con Eugenio Corti), Maurizio Minchella editore vien voglia non solo di prendere carta e penna ma di salire su di un treno e andare nella vecchia casa dello scrittore per rubargli altri lacerti di memoria, una memoria che si fa vita e una vita che si unge di nostos continui alle origini della civile convivenza, intrisa di odio fraterno che ciclicamente sconvolge il nostro passaggio su questa terra.

Ha ragione Cavalleri quando parla dl Corti come di “colui che si rivela così esperto del cuore umano e così dotato di senso della storia”.

Scrittori si nasce perché la scrittura è dono divino e Corti ha subito o quasi capito che doveva rendere testimonianza agli uomini di buona volontà delle verità taciute dall’ipocrisia di regime, che tende a scrivere la storia con l’arroganza dei vincitori.

II “contesto” in cui si muove II cavallo rosso è l’esistenza tragica e morente della ritirata di Russia con tutto il corollario dl terrore, impotenze, buoni sentimenti, nostalgie per un paradiso perduto in una coralità suggestiva di figure che patiscono 1’inferno in terra per arginare i guasti procurati dall’improvviso silenzio di Dio sul proscenio della storia dell’uomo.

Credo che la pagina della morte del capitano Grandi sia certamente tra le più intense e struggenti della letteratura del Novecento:

“Cantavano e piangevano gli alpini valorosi, e c’era nel loro canto paziente tutto lo struggimento della nostra umana impotenza; cantarono anche quando il capitano ormai non cantava più o li accompagnava solo con gli occhi; cessarono di cantare solo quando si resero conto che il capitano Grandi era morto”.

E lo stesso incipit de Il cavallo rosso con l’avanzata di Ferrante e di Stefano, lenti, fianco a fianco mentre falciano il prato, ha una grande pregnanza simbolica e metaforica sui tanti mali che oggi affliggono il nostro affumicato tempo moderno devastato e incancrenito da ben altri valori poggiati sull’edoné e certamente non sul sacrificio della vecchie e salda struttura della civiltà contadina di inizio secolo.

E’ impossibile non rivedersi bambini leggendo queste pagine di Corti con la forte “evidenza dei suoi personaggi che amiamo come creature vive”. Credo che il successo di Corti dipenda dai due grandi maestri che laimentano le sue pagine: Omero e Manzoni. Del primo mutua l’idea di una letteratura come l’unica forma dl storia non contaminata perché deve mirare a raccontare l’uomo, a smascherare i suoi demoni, i mostri che si porta dentro in un viaggio perpetuo nella memoria. II raccontare di Corti finisce col diventare così viaggio di espiazione per tutti i mali dell’umanità, un novello Cristo che accetta senza colpo ferire 1’isolamento culturale imposto dal potere dei mass-media domtnante.

È anche un viaggio di dolore per la degenerazione dell’uomo che volendosi sostituire a Dio e creare un mondo senza Dio (il comunismo) finisce per uccidere l’uomo che è perpetua immagine del Creatore.

E l’umanità con cui Corti affronta i mostri del Novecento, taluni taciuti sui libri di storia, ha un ritmo religioso che animava la pagina di Alessandro Manzoni. Anche in Corti c’è una aderenza costante e continua al contenuto positvo della fede, al contenuto evangelico del cristianesimo con una pietas naturaliter per gli ultimi, i vinti, i sofferenti. Di fronte alla storia l’uomo può riflettere attraverso la scrittura ma non giudicare. Sono i fatti cruenti a parlare da soli e a far vedere alla fine la mano di Dio. Come Manzoni anche Corti ha una illimitata e spregiudicata oltre che disincantata vocazione alla contemplazione del vero: egli vede ciò che è e non si azzarda a nascondere la verità, anzi la insegue, si documenta (II cavallo rosso ha una gestione decennale) e finisce così, attraverso un ritmo narrativo avvincente e coinvolgente, col prendere per mano il lettore che sente di aver vissuto con l’autore le pagine che legge.

Credo che i libri di Corti ridiano fiato e vigore ad una letteratura morente: sia che prevalga il saggista o il romanziere in essi leggiamo  la meditata “presa diretta” degli avvenimenti, sempre in grado di farci ragionare e partecipare alla realtà complicata della storia, “nel tragico mondo degli uomini”.

E non possiamo non tener conto del suo imperativo morale: “Qualunque sia il futuro, come cristiani noi sappiamo che Dio farà ancora nascere il bene dal male, ma questo non ci autorizza al disimpegno e all’inerzia”.

Pur nella distanza della latitudine “anche se ci separa un oceano, ci unisce la Verità”.

È la Verità di questo cantastorie che continua a combattere per il Regno, così come promesso alla Madonna in una notte di Natale del 1942 tra “il gelo e la morte nella tragica ritirata di Russia”.

(Gianni Carteri, 01/05/98, Il Nostro Tempo)