Guerra e pace in Brianza
Passando per le verdi colline della Brianza per raggiungere Besana (da cui partono e ritornano, quando ritornano, i ragazzi del 1920 descritti da Eugenio Corti nel suo bellissimo romanzo-fiume II cavallo rosso), ci accorgiamo che il paesaggio lombardo, sotto la pioggerellina estiva, richiama in qualche modo quello inglese della Contea di casa Baggins descritto da Tolkien ne Il signore degli anelli. Gli indimenticabili Bilbo, Frodo e Sam Gamgee, che partono e ritornano dall’amata Contea, non assomigliano, del resto, a Stefano, Manno, Pierello e Michele, gli antieroi di Corti, anche loro lanciati nell’avventura di combattere le forze oscure del Male, la guerra e le ideologie del XX secolo?
Certo, Il cavallo rosso è un romanzo storico che attinge a fatti e personaggi reali, Il signore degli anelli è un grande racconto fantastico che attinge al mondo della mitologia. Ma anche il libro di Corti è una voluminosa trilogia che supera le 1.200 pagine e attinge alle potenti immagini del Libro dell’Apocalisse: il cavallo rosso, il cavallo livido e l’albero della vita. Infine, sia Tolkien sia Corti sono scrittori cattolici, con una visione provvidenziale della storia.
I pensieri si fermano qui, davanti alla villa della famiglia Corti, affacciata sulle prealpi lombarde. Il cancello è già aperto e – molto simile a quelle cime – Eugenio Corti, 87 anni, ritto come una sentinella ci accoglie in giardino. Siamo qui per il lancio dell’edizione speciale del suo capolavoro II cavallo rosso, che Famiglia Cristiana offre in tre volumi. E siamo qui per ripercorrere le orme della collega Maria Grazia Cucco che, 25 anni fa, intervistò per la prima volta Corti.
Signor Corti, innanzitutto qualche ricordo personale dell’intervista che Maria Grazia Cucco le fece in quell’estate del 1983, in occasione della prima uscita del suo romanzo…
La sua lunga e bella intervista è stata fondamentale per il lancio in Italia del libro: fu tanto efficace da mandare in crisi il sistema di distribuzione della piccola casa editrice Ares di Cesare Cavalieri che, coraggiosamente, aveva affrontato l’arduo compito di stampare e diffondere un libro come questo, di ben 1.280 pagine. Mi sono rivisto più volte con la Cucco, una donna straordinaria, di una sensibilità e di un’intelligenza notevole, aperta alle cose e agli incontri; quando mancò prematuramente, qualche anno dopo, ho sentito di perdere un’amica. E voglio ringraziare Famiglia Cristiana, cui devo il successo in Italia di Il cavallo rosso; e che lo rilancia oggi, offrendo ai lettori una nuova edizione in tre volumi, comodi da leggere.
Cosa significa per lei avere scritto un romanzo storico che, pur nella libertà della creazione artistica, abbraccia il secondo Novecento e racconta fatti veri e personaggi reali?
Prima di iniziare a scrivere mi sono posto il problema che già Alessandro Manzoni aveva sollevato sulla validità del romanzo storico: dopo avere descritto ne I promessi sposi la peste di Milano del Seicento, Manzoni sente il dovere di riscriverla in La colonna infame in modo più obiettivo, con l’intento di fare pura opera di storia. Bene, proprio rileggendo La colonna infame mi sono reso conto che la peste “vera” è quella descritta ne I promessi sposi, perché lì c’è la percezione viva della realtà delle cose. Così Manzoni, condannando il romanzo storico, in realtà lo giustificava. Da qui sono partito per raccontare le vicende di alcuni giovani della Brianza che hanno vissuto il dramma della Seconda guerra mondiale. Una storia aderente al vero, ricostruita in modo che il lettore potesse affacciarsi su quella realtà, guardarci dentro, riviverla.
Ci può fare un esempio concreto di questo approccio, di questa sua aderenza alla realtà?
In II cavallo rosso c’è la descrizione della ritirata di Russia che ho vissuto in prima persona; ma anche la narrazione, ancora più terribile, dei campi di prigionia sovietici, in particolare di quello di Crinovaia dove, per la fame, si arrivò addirittura a episodi di cannibalismo. Io non sono stato testimone diretto di quei fatti ma, appena tornato, me li sono fatti raccontare dai sopravvissuti.
Un giorno, a una presentazione del libro, un tale mi abbraccia e mi dice: “A Crinovaia c’ero anch’io!”. Gli rispondo che non ero mai stato in quel lager. Ribatte: “Ma come, se hai raccontato per filo e per segno la vita di noi prigionieri?”. Ecco, questa è stata per me la prova che è possibile scrivere un romanzo storico senza inventare niente, attenendosi scrupolosamente ai fatti.
Signor Corti, dopo aver visto in faccia il Male, com’è ancora possibile per noi oggi sperare?
Quasi ogni settimana vengono a trovarmi gruppi di ragazzi che hanno letto il libro e vogliono sapere come mai queste tragiche esperienze non mi hanno fatto perdere la fede. Io spiego loro che, avendo avuto un’educazione e una cultura cristiana, l’impatto col Male, i terribili orrori commessi da nazisti e comunisti, mi hanno confermato più che mai sulla giustezza del cristianesimo. I due sistemi ideologici cercavano di realizzare una società ideale, e intanto perseguitavano ed eliminavano milioni di individui. Mi sono ricordato la visione di Sant’Agostino: la città terrena governata dal Principe di questo mondo che è omicida, menzognero, scimmia di Dio; e la bellezza della città celeste, governata da Dio stesso. Nel XX secolo si è consumata la tragedia del mondo occidentale che, dimenticato Dio, ha fatto prevalere il modello della città terrena. Così Il cavallo rosso, come ha scritto uno storico inglese, segna lo spartiacque tra due mondi, tra due concezioni della vita drammaticamente attuali.
Ci parli dei suoi personaggi: Manno, Stefano, Michele, Alma, Colomba, tutti rigorosamente veri, quando non addirittura autobiografici…
Ho cercato di descrivere sempre e solo persone che ho incontrato veramente nella mia vita; per costruire un personaggio, a volte ho messo insieme due o tre persone; oppure, viceversa, da una persona reale ho tratto due personaggi, magari uno maschile e uno femminile. Sarebbe impossibile tenere vivo un personaggio inventato in un romanzo storico di questa lunghezza e che abbraccia quarant’anni di storia italiana. Alcuni protagonisti di II cavallo rosso sono inseriti “di peso” nella narrazione: papà Gerardo Riva e sua moglie Giulia sono la perfetta fotografia di mio padre e di mia madre; per Alma, la moglie di Michele, una delle figure femminili a cui sono più legato, ho preso l’aspetto fisico da una persona che mi è molto vicina e quello spirituale da un’altra donna che mi è altrettanto vicina.
Quanti figli eravate in famiglia?
Dieci, sei maschi e quattro femmine; il più anziano sono io, tre maschi sono mancati, tra cui Piero Corti, che è stato medico in Uganda dove ha fondato l’ospedale di Gulu. Mio fratello Corrado, che nel romanzo è padre Rodolfo, è missionario in Ciad e ogni volta che ritorna in Italia ci ritroviamo tutti insieme, qui nella casa paterna di Besana Brianza: l’ultima volta, tra nonni e nipoti, eravamo in 115 persone.
In II cavallo rosso, insieme con padre Agostino Gemelli e Giuseppe Lazzati, lei cita anche don Carlo Gnocchi. Lo conosceva bene?
Siamo stati grandi amici: è stato don Carlo a celebrare il mio matrimonio con Vanda di Marsciano ad Assisi, nel 1951, nella chiesa di San Damiano. Don Gnocchi, rimasto orfano di padre, ha vissuto dall’età di due anni qui a Besana Brianza, nella frazione di Montesiro; lui era cappellano degli alpini, io nell’esercito regolare, e l’esperienza della guerra ci ha uniti ancora di più.
Come passa le sue giornate?
A 87, anni il mio rendimento è diminuito anche se, grazie a Dio, la mente è libera e lucida: la mattina scrivo, nel pomeriggio passo altre tre o quattro ore alla scrivania, alla sera rileggo e mi documento per il giorno dopo. Sto lavorando a quello che penso sarà il mio ultimo libro: si tratta di una raccolta di scritti sul Medioevo che uscirà per Natale. Il Medioevo è il periodo della storia che amo di più e che conclude un ciclo di racconti per immagini, quasi trame da film: ho iniziato con le vicende delle reducciones gesuitiche nel Paraguay: La terra dell’indio; poi ho descritto la tragedia degli ammutinati del Bounty: L’isola del Paradiso; il mio ultimo libro è stato Catone l’antico, che racconta il mondo romano minacciato dai barbari.
Il cavallo rosso è un libro che, come scrivono tanti suoi lettori, si vorrebbe non finisse mai. Lei Io sigilla con una frase del poeta inglese T.S. Eliot: «Ecco ora svaniscono i volti e i luoghi, con quella parte di noi che, come poteva, li amava, per rinnovarli, trasfigurati, in un’altra trama». Signor Corti, qual è questa “altra trama” che fa sì che le storie e i volti raccontati non si perdano mai?
L'”altra trama” di cui parla Eliot è la realtà vera e definitiva del Paradiso. Tutte le persone, il mondo che abbiamo conosciuto in II cavallo rosso, si rinnoveranno e si ritroveranno nel mondo vero, quello dell’aldilà».
(Alfredo Tradigo, 06/07/08, Famiglia Cristiana)