«Nel cielo ormai quasi buio s’inseguivano lucenti pallottole traccianti. In quel cielo c’era Dio: io stavo muto e grigio davanti a Lui, nel gran freddo. Vicino a me c’erano la mia miseria e il mio voler continuare a essere uomo e capo di uomini, nonostante tutto»
Il diario dell’odissea del ventunenne tenente d’artiglieria Eugenio Corti, uno dei quattromila italiani (su 30mila) che riuscirono a scampare dalla sacca di Arbusov nella Campagna di Russia. Il libro apparve in Italia nel 1947, e quella di Corti fu, in assoluto, la prima voce a raccontare l’inferno bianco della tragedia dell’Armir.
Considerato “una delle testimonianze più belle e più straordinarie uscite dalla ritirata di Russia” (Giulio Nascimbeni), perché ne rende la drammatica realtà con nuda intensità narrativa, questo diario descrive ciò che accadde in poche settimane dell’inverno 1942-43 durante l’accerchiamento di due divisioni italiane su quel fronte.
Il trascorrere del tempo nulla ha tolto alla forza di questa testimonianza, anzi la ripropone come un documento unico in cui gli eventi, gli uomini, le cose mantengono intatta – sul filo della memoria di un giovane ufficiale che li visse in prima persona – la loro spoglia severità di resoconto tragico quotidiano. Un’opera fuori dal comune e che non manca di una sua forza consolatoria nonostante le miserie proprie della guerra che vi sono descritte.
Perché, come scrisse Benedetto Croce, v’é in essa il “non frequente lampeggiare della bontà e della nobiltà umana”.
Di seguito le recensioni e gli articoli su quest’opera:
– La recensione di Mario Apollonio – (1947)
– Eugenio Corti: neorealismo letterario – di Felix A. Morlion (1948)
– La presentazione all’edizione americana – (1997)
– Quando il dramma dell’uomo avviene in “presenza” di Dio – di Alessandro Rivali (2013)
– L’introduzione di Luca Doninelli a I più non ritornano – (2013)
– L’introduzione di François Livi – (data sconosciuta)
Estratti dall’opera:
– L’episodio di Zoilo Zorzi
– L’uscita dalla sacca in Russia