Cara Vanda ti scrivo
Pubblicate le lettere di Eugenio Corti alla fidanzata che poi sarà sua moglie.
Un amore profondo e autentico raccontato al Timone dalla protagonista.
“Poco dopo la morte di Eugenio, avvenuta nel 2014, mi trovavo a riordinare l’archivio, dovevo tirar fuori tutti i documenti di mio marito per consegnarli alla Biblioteca Ambrosiana, quindi ho dovuto aprire tutti i faldoni dello studio. All’interno di uno di questi ho trovato, conservate perfettamente in ordine, le lettere che io gli avevo scritto durante il nostro fidanzamento. Erano tutte fuori dalle rispettive buste e messe in ordine di data, alcune, quelle credo considerate più significative, erano invece conservate in una cartellina a parte.
Così mi sono messa a rileggerle e questo naturalmente ha suscitato in me tanti ricordi e una grande emozione. Io chiaramente conservavo quelle che Eugenio aveva scritto a me, così le ho messe insieme ritrovandomi per la prima volta in mano questo carteggio che ho pensato di far leggere a Mimma Viganò, mia ex alunna, mia vicina di casa, a sua volta scrittrice. Mimma rimase molto colpita da questo epistolario e per prima mi disse: “Perché non le pubblichi?” Ne abbiamo discusso un po’, ma non ne ero convinta e così la nostra corrispondenza è rimasta nel cassetto diversi anni. Poi mi sono decisa. Voglio dare una testimonianza di un rapporto vissuto nella correttezza e secondo gli insegnamenti della Chiesa di Cristo”.
Voglio il tuo amore. Lettere a Vanda (Edizioni Ares, pagine 272) nasce così, da un momento di commozione nostalgica, dal desiderio di raccontare un amore di altri tempi, ma proprio per questo straordinariamente attuale. Il volume raccoglie il carteggio inedito tra Eugenio Corti e la giovane Vanda negli anni della loro conoscenza, poi nel fidanzamento, fino al matrimonio celebrato ad Assisi da don Carlo Gnocchi.
Vanda, si tratta di un epistolario toccante, che fa sentire la nostalgia di quelle lettere scritte a mano, spedite per posta, attese con trepidazione, aperte con un’emozione oggi sconosciuta. Non sembra però solo di un modo di comunicare diverso, ma di un modo diverso di vivere l’amore, o sbaglio?
Eugenio insisteva molto perché io scrivessi, anche se io mi sentivo meno portate e forse ero più pigra. Innanzitutto perché allora era l’unico modo per comunicare, poi perché sembrava che senza le mie lettere lui quasi andasse in ansia, quindi anche per tenerlo tranquillo io scrivevo, soprattutto quando ero lontana da Milano. Oggi c’è molta più velocità nei rapporti, nelle relazioni, manca l’aspetto della riflessione, i messaggi sono brevi frasi, la comunicazione è veloce, tempestiva, per noi invece era importante la profondità, il pensiero, il ragionamento, leggere davvero il cuore dell’altro.
Scrive Eugenio: “Il mio amore è come il tuo totale, completo, fisico e spirituale, ma più spirituale che fisico, come il tuo. Come deve essere l’amore fra quegli esseri meravigliosi e miserabili insieme che sono gli uomini, fatti di terra e chiamati a essere parte di Dio”. Emerge, in questa e in altre lettere, un’idea di amore che non è sentimentale, ma una relazione che ha senso solo se profondamente radicata in Cristo. Pensa sia possibile oggi vivere così l’amore?
I tempi che io ho vissuto erano indubbiamente molto difficili e affrontarli da soli, senza concepire una spiegazione di quello che accadeva, senza cercare una ragione, era veramente impossibile. Io ho vissuto una vicenda molto dolorosa – mio padre è stato diversi anni in carcere accusato di collaborazionismo con il regime fascista – se non avessi vissuto la consapevolezza che c’era un disegno di Dio sulla mia vita, sarebbe stato impossibile affrontarlo. Credo che per tutti, all’epoca, ci fosse una coscienza religiosa molto più profonda. Oggi tutto è diventato facile, c’è un benessere economico diffuso, non c’è bisogno di lottare per la sopravvivenza, allora non si sente più bisogno di aiuto, men che meno quello di ricorrere alla preghiera, ci si sente autosufficienti. Allora invece avevamo bisogno di sapere che quello che accadeva avveniva perché c’era una Provvidenza, un destino buono della nostra vita.
“Ciao Vanda, ti bacio la mano”, questo è uno dei modi in cui Eugenio chiude una delle sue prime lettere. Un tratto delicato e insieme cavalleresco che oggi sembra perduto. Come perduto sembra essere il desiderio di appartenenza totale che emerge dagli scritti suoi e di suo marito, i valori del sacrificio, del dovere, perfino la parola “fidanzata” sembra appartenere ad altri tempi…
Certo quello che ci viene presentato oggi è davvero desolante: persone che si incontrano, si accoppiano, si lasciano, con facilità e superficialità. Ogni tanto mi chiedo, quando arriveranno alla vecchiaia, cosa si troveranno in mano? Perché io mi dico, certamente la mia non è stata una vita facilissima, perché abbiamo avuto periodi difficili, anche economicamente. Eugenio si dedicava a questo lavoro con tutto l’impegno e avrebbe voluto offrirmi i frutti del suo successo, che però tardava ad arrivare. Eppure abbiamo vissuto serenamente tutto e poi alla fine della vita abbiamo potuto raccogliere i frutti veri. Oggi?
Vedo molto disordine, nelle coscienze, nelle vite, nelle famiglie, manca la consapevolezza di un dovere cui siamo chiamati nei confronti delle persone che ci sono affidate. Certo, il dovere comporta il sacrifico e oggi invece si prende la via più facile anche se non è quella giusta. Però ci sono ancora uomini e donne che desiderano vivere diversamente perché cambiano i tempi, cambiano i costumi, ma il cuore dell’uomo non cambia, siamo fatti per appartenere totalmente. Io alle ragazze oggi dico di non lasciarsi portare a facili incontri, hanno fretta quando invece bisogna sapere aspettare la persona giusta.
Solo che il mondo, a differenza di quello che accadeva quando vi siete conosciuti voi, spinge in senso contrario…
Certo, ma è una menzogna, quello che i mass media vogliono far passare non è la verità: presentano l’aborto come una conquista di civiltà, celebrano le unioni omosessuali, rincorrono la fecondazione assistita, ma poi sono così tante le persone che pensano queste cose? E soprattutto, sono felici? Secondo me, no.
Vede, tutto questo secondo me è il retaggio del comunismo, tutti dicono che il comunismo non ci sia più, io dico che c’è ancora, ha solo cambiato volto, ne ha un più subdolo e meno visibile, ma mantiene l’obiettivo di distruggere la società snaturandola. Disgregare le famiglie per creare individui soli e più controllabili, la società senza Dio.
Il libro si conclude con una lettera del 1993. Lei aveva scritto a suo marito, mentre eravate sposati da ormai più di quarant’anni, un biglietto e lui le rispondeva così: “Per due volte parli di te stessa come di una “che non ha dato frutti”: ma non è vero, la realtà non è questa. L’allusione alla mancanza di figli della carne è evidente; anch’io un tempo li desideravo, ma noi due non eravamo chiamati a questo: la nostra unione, nei disegni di Dio, non aveva questo fine; anzi se avessimo avuto dei figli, il disegno che Dio aveva su di noi, non si sarebbe potuto realizzare. I nostri veri figli sono i nostri libri che non vengono solo da me, ma anche da te”. Come rivive oggi quelle parole?
La mancanza di figli è un dolore che non finisce mai. É stato un destino che abbiamo dovuto accettare. Forse è vero, era nella Provvidenza perché se avessimo avuto una famiglia numerosa non so se Eugenio avrebbe avuto la libertà di tempo e di pensiero per scrivere così. Certo è un dolore grande. Devo dire che ho la grazia di avere molti amici, nipoti e persone che mi stanno attorno.
Tanti ragazzi mi cercano e molti grazie ai libri scritti da Eugenio. Io ho ricevuto molto dalla sua passione per la scrittura, perché tutto diventava bello, profondo, vero, anche nella nostra quotidianità. Vivevamo i nostri doveri in maniera serena con tanto abbandono, per questo posso dire che Eugenio sapeva sempre trovare le parole giuste per aiutarmi a capire, come quando – l’ho voluto scrivere nel libro – nelle mie incertezze di fede gli chiedevo: “Ma dov’è Dio?”. “Cercalo nella tua vita” mi rispondeva con sicurezza.
Quelle parole sono ancora oggi determinanti per me.
(a cura di Raffaella Frullone, settembre 2019, Il Timone no. 187)