Ritornato alla vita borghese, il primo problema che si pone all’attenzione del giovane Corti è la laurea; nonostante il suo interesse per la giurisprudenza sia ormai del tutto scemato, ottiene la laurea nel 1947.
“Dopo la guerra, all’università andavo soltanto per dare gli esami. Mi sono buttato a farlo con incoscienza totale: ero preparato in modo infame. Avevo molta memoria, ero in grado al momento di rispondere alle domande su ciò che stava nei libri, ma quanto mi ero appiccicato nella testa non mi sarebbe assolutamente servito per fare l’avvocato o il notaio o il giudice (per l’amor di Dio: non avevo neanche il principio…). Del resto erano cose che non mi interessavano più”.
Nel giugno del 1947 pubblica presso Garzanti I più non ritornano, il suo primo libro, sulla ritirata di Russia, da lui così dolorosamente vissuta.
Dopo la laurea, inizia immediatamente la stesura del suo secondo libro, I poveri cristi: l’argomento è la guerra di liberazione dell’Italia. Lasciamo a Corti il giudizio su quest’opera: “L’ho steso dal ’47 al ’51, senza arrivare a concluderlo veramente: occorreva ben altro per poter scrivere un’opera che rispecchiasse – come io intendevo – le esperienze della mia generazione e delle altre del nostro secolo. In quel testo, oltre alla narrazione vera e propria, c’era una massa di idee e di riflessioni che avevo via via formulato. A un tratto, convinto che fosse vicina a scoppiare la rivoluzione comunista, ho deciso di pubblicare il libro oberato da quelle riflessioni mal assorbite nel racconto, e anzi qua e là addirittura accatastate: ciò perché, in caso di rivoluzione, io intendevo combattere contro i comunisti (precisamente come avevo combattuto contro i nazisti) e non sapevo se stavolta sarei scampato. Mi ripromettevo – e nel testo lo dicevo due volte – di riprendere il lavoro in seguito, se il Signore Iddio me ne avesse dato il tempo”. Il lavoro verrà ripreso e darà alla luce nel 1994 con il titolo di “Gli ultimi soldati del re”.
Nel 1951 Corti comincia a lavorare nell’industria paterna: non ama tale lavoro (“me la cavavo malissimo: ho sempre operato molto mediocremente, perché non avevo il cuore a quelle cose”). Lavorerà per una decina d’anni presso la ditta paterna proprio durante un periodo di grave crisi, descritta minuziosamente ne “Il cavallo rosso”.
Nel maggio del 1951 Eugenio Corti sposa Vanda di Marsciano, conosciuta all’Università Cattolica di Milano; il matrimonio è celebrato ad Assisi da don Carlo Gnocchi, amico di vecchia data dello scrittore.
In questi anni di lavoro Corti si dedica ad un approfondito studio teorico e storico del comunismo: uniti alla sua personale esperienza in terra sovietica, questi studi lo metteranno in grado di capire cosa esattamente sta accadendo in Russia; non solo, con lucidità intellettuale veramente unica riuscirà a spiegare i motivi del fallimento – peraltro inevitabile – dell’ideologia comunista.
Frutto di questi studi sarà la tragedia Processo e morte di Stalin, scritta tra il 1960 e il 1961 e rappresentata nel 1962.
Il ricordo di Corti delle accoglienze ricevute non è dei migliori: “I giornali ne hanno parlato non poco, mettendola subito in chiave politica: quelli anticomunisti erano ben lieti di esaltare il fatto che fossero state raccolte notizie simili su Stalin; i giornali marxisti e, purtroppo, anche “Il popolo”, sputavano livore, in un periodo in cui ancora non c’era una vera critica a Stalin”.
Paola Scaglione scrive: “Da questo momento Eugenio Corti, a causa del proprio ragionato anticomunismo, è ostacolato, in modo sistematico e mal dissimulato, dalla grande stampa e dal mondo della cultura, a quel tempo ormai fortemente orientati a sinistra”.
(I dati riportati in questa pagina e le citazioni delle parole di Eugenio Corti sono tratti da: Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Edizioni Ares, 2002)