Agli inizi degli anni ’70, Corti prende la decisione di dedicarsi completamente alla scrittura: “Nel ’69/70 ho deciso risolutamente che, dai cinquant’anni in poi, non mi sarei occupato d’altro che di scrivere. Ed effettivamente il 31 dicembre 1972 ho troncato qualsiasi attività di ordine economico”.
L’opera a cui sta per mettere mano, Il cavallo rosso, non consente nessun altra occupazione. E infatti gli undici anni di studio ed elaborazione del capolavoro assorbono completamente l’artista: d’altronde, leggendo l’opera è immediato intuire l’enorme sforzo storico e documentario fatto dall’autore per offrire un romanzo di fedeltà assoluta ai fatti e agli avvenimenti (il che è sicuramente una caratteristica fissa di tutta la sua produzione letteraria).
“Tra i cinquanta e i sessant’anni – dice Corti – l’esperienza di un uomo giunge al culmine (dopo si comincia a dimenticare e a confondere), mentre la sua possibilità di creare è ancora intatta”.
Nel 1983 il testo raggiunge la sua forma definitiva: lasciamo che sia lo stesso Corti a raccontare quanto accadde.
“Le grandi case editrici erano ormai tutte condizionate dai comunisti; faceva in qualche modo eccezione, mantenendosi abbastanza libera, la Rusconi, di cui io conoscevo il direttore editoriale. A lui ho proposto il mio malloppo di millecinquecento pagine dattiloscritte; immediatamente è sorto un ostacolo economico: all’epoca un libro costava 40 lire la pagina, il che avrebbe portato a un prezzo di copertina di 60.000 lire. Ciò avrebbe reso invendibile il romanzo. Lo stesso direttore editoriale mi ha consigliato di pubblicarlo presso una casa editrice piccola e senza distribuzione: il costo di questa, infatti, incide per circa metà sul prezzo del libro. Ovviamente il non avere distribuzione avrebbe poi comportato serie difficoltà nella diffusione dell’opera. Ne ho parlato con il mio amico Cesare Cavalleri, direttore delle Edizioni Ares (un’editrice molto stimata, anche se piccola). Con lui io avevo già collaborato a lungo, scrivendo per la sua rivista “Studi Cattolici”, soprattutto articoli sul mondo comunista”.
Il romanzo viene pubblicato proprio dalla Ares nel maggio 1983, e il successo strepitoso dell’opera viene tracciato nelle pagine dedicate appunto a Il cavallo rosso.
Come abbiamo detto, il lavoro per il suo capolavoro costerà a Corti quasi tutto il periodo 1972/1983: due sole sono state le attività alternative che lo hanno strappato al suo lavoro.
Nel ’74 infatti entra nel comitato lombardo per l’abrogazione della legge sul divorzio: “Per sei mesi ho cessato di scrivere e mi sono dedicato a quella battaglia: è stata un’esperienza incomparabile. Subito mi sono accorto della differenza tra noi, antidivorzisti, e i divorzisti: loro avevano a disposizione tutti i giornali e i partiti politici, mentre con noi c’era solo una parte della Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano, allora considerato un partito ‘appestato’. In quell’occasione l’Azione Cattolica si è dimostrata completamente sbandata: una vicenda pietosissima!”.
La seconda interruzione alla stesura de Il cavallo rosso è del 1978: “Improvvisamente è morto don Giuseppe Brusadelli, direttore del quotidiano “L’ordine” di Como. Per quel giornale che, nonostante la sua modesta tiratura, aveva in quegli anni contribuito più d’ogni altra voce a conservare cattolica la provincia di Como, io avevo già scritto qualcosa: scomparso il direttore, i giornalisti mi hanno chiesto di scrivere gli articoli di fondo finché ne avessero trovato un altro”.
(I dati riportati in questa pagina e le citazioni delle parole di Eugenio Corti sono tratti da: Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Edizioni Ares, 2002)